sabato 20 aprile 2024


 

Sabato 13 e domenica 14 aprile abbiamo ospitato al Melograno di Bologna un workshop sulla genitorialità delle persone transgender e no binary con Egon Botteghi, che ha portato la sua esperienza personale nella toccante performance teatrale “Parti di madre trans*” a cui ha fatto seguito un corposo approfondimento il giorno dopo.

C’erano tante persone presenti, operatrici del mondo della nascita, educatrici e educatori, docenti, persone trans* già genitori o che desiderano diventarlo, attivistə. Un magnifico gruppo con percorsi di vita e competenze differenti, mondi che si sono trovati nel medesimo spazio per parlare di un tema che riguarda tuttə, o almeno che dovrebbe riguardare tuttə perché siamo la medesima collettività e gli umani per essere tali devono nascere.

Siamo un’associazione che si occupa di nascita, di gravidanza, maternità, paternità, bambine e bambini piccolissimi. In una sola espressione, molto diffusa anche nelle istituzioni, si occupa dei Primi 1000 Giorni di vita di noi umani. Accogliamo e accompagniamo le donne che scelgono di diventare madri e gli uomini che scelgono di diventare padri, proponendo diverse attività a partire dal corso preparto come accompagnamento alla nascita e al diventare genitori. La nostra frase guida è “Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Con il nostro lavoro cerchiamo di far sì che il Melograno sia un piccolo villaggio, un luogo caloroso e accogliente dove ogni vissuto, ogni emozione, ogni dubbio o paura abbia piena accoglienza. Quello del diventare genitori è un tempo in cui emergono nuovi bisogni e insicurezze fino a quel momento sconosciute a cui cerchiamo di rispondere al meglio.

Noi umani siamo esseri sociali, collaborativi, antropologicamente destinati ad essere creature bisognose degli altri. Per migliaia di anni abbiamo cresciuto i nostri cuccioli in gruppo e da un pugno di decenni i nostri piccoli sono diventati invece un affare privato di un nucleo familiare sempre più piccolo, che pesa principalmente sulle donne. E’un tempo della vita che pare avvolto dal mantello dell’invisibilità sociale.

Quello dell’essere invisibili è un tema che le persone trans* che desiderano diventare genitori, o che già lo sono, conoscono molto bene. Infatti nonostante una mole di studi ci dicano il contrario è molto diffuso il preconcetto secondo il quale essere trans* non è conciliabile con la genitorialità. Eppure questi genitori esistono: da un’indagine dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA- Fundamental rights agency) nel 2019, dalle 19.445 risposte raccolte tra le persone trans*, è emerso che il 19% era genitore di almeno un bambino.

Ascoltare, nel salone del Melograno dove si svolgono i nostri incontri, che da uno studio condotto in UK risulta che il 30% delle persone trans* e no binary in gravidanza non ha avuto accesso ai servizi sanitari pubblici o privati e che il 54% ha scelto di partorire senza alcun supporto ostetrico perché temeva di sentirsi a disagio, è stato un pugno in pancia. Ricevere un’assistenza appropriata che tuteli salute e benessere durante gravidanza e parto è un diritto, ma se un diritto non è di tuttǝ si chiama privilegio.

L’incontro è stata anche l’occasione per parlare del libretto “Trans* con figlǝ, suggerimenti per (futurǝ) genitori trans* e loro alleatǝ, prima guida italiana sulla Trans*genitorialità”, tradotto e adattato dal tedesco per l’Italia da Alex Romanella ed Egon Botteghi, dall’opera “Trans* mit Kind! – Tipps für trans* und nicht-binäre Personen mit Kind(ern) oder Kinderwunsch”, curata dall’associazione tedesca Bundesverband Trans*. Questo libretto si propone come piccola guida per le persone trans* e non binarie che si sentono sole o spaesate nel momento in cui vorrebbero approcciarsi alla genitorialità, oltre che a chi genitore trans* lo è già. 

Questo workshop ha richiesto due anni di gestazione prima di concretizzarsi e fin dall’idea iniziale ha avuto lo scopo acquisire, come Melograno, gli strumenti per accogliere nel migliore dei modi, rispettosamente, persone trans* e no binary che desiderano diventare genitori.

Desidero ringraziare chi ha partecipato e ha portato competenza, calore e generosità dentro al Melograno. E un ringraziamento di cuore a Egon!


martedì 14 marzo 2023

La retorica sulla diade mamma-bambino

“Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”, lo diciamo sempre al Melograno. Ma come si può declinare questo concetto con lo stile di vita che conduciamo oggi? Come renderlo concreto e praticabile? E che relazione c’è tra il villaggio e la diade mamma-bambino, quella relazione primaria di cui si dice vada protetta e rafforzata? Se volgiamo lo sguardo alla storia umana, proprio da principio, vediamo che sì, nella maggior parte delle comunità di cacciatori-raccoglitori precedenti al neolitico, i neonati vivevano a stretto contatto della tetta materna, non dormivano soli e c’era sempre un adulto che se ne prendeva cura. Ma appunto, un adulto, mica solo la mamma. I neonati passavano di mano in mano tra tutte le figure della comunità, nonne, nonni, zii e zie, fratelli e sorelle, e anche zii e zie che davvero zii non erano. Le cure dunque non solo non erano solo materne, ma nemmeno solo parentali, erano cure alloparentali. E naturalmente la cosa non riguardava solo i neonati, ma tutta la crescita dei bambini. Fino a circa ottomila anni fa tutti gli umani del pianeta sono stati cacciatori-raccoglitori, per circa due milioni di lunghi anni. Poi a poco a poco la domesticazione delle piante e degli animali si sono diffuse, e molte cose sono cambiate, ma alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori ci sono ancora oggi. Gli antropologi è da circa un secolo che studiano queste società, per questo ne sappiamo qualcosa. Due milioni di anni avranno pur lasciato un segno nella nostra struttura psichica, oltre che nei nostri geni, cosa vuoi che siano ottomila anni a confronto di due milioni. Senza contare che anche nelle società dedite all’agricoltura i bambini mica se li spupazzava solo la mamma o al limite il papà. Io, che pure sono nata nel 1957, sono cresciuta con tanti adulti di riferimento, mamma, babbo, prozia, nonni e zii vari, perché così funzionava nelle famiglie contadine. E quindi, per tornare al villaggio, sto proponendo di ritornare a vivere in piccole comunità di autosostentamento, a raccogliere tarassaco e a cacciar cinghiali? Proprio no, per motivi che non intendo approfondire qui. Ma cerchiamo di coltivare altre forme di socialità intorno alle creature che nascono e asciughiamo asciughiamo asciughiamo la retorica sulla diade mamma-bambino…. ecco l’ho detto.

domenica 4 ottobre 2020

Le foto di Lennart Nilsson





Nel 1968 gli astronauti dell'Apollo 8 fotografarono l'immagine del nostro pianeta che fa capolino dal suolo lunare. Una foto che ha cambiato per sempre il nostro modo di vedere la Terra.

Tre anni prima c’erano state altre foto dalle quali non si sarebbe più tornati indietro: LIFE pubblicò un servizio di Lennart Nilsson sulla vita intrauterina. Per la prima volta si videro feti in formazione, simili a cosmonauti fluttuanti in un mondo celestiale, dentro al sacco amniotico e attaccati alla placenta dal grosso cordone ombelicale. Nilsson poi pubblicò un intero libro fotografico con foto prenatali. Sua è quella famosissima del feto di pochi mesi che si ciuccia il dito. Foto poetiche, che fanno sognare.
Però ovviamente non sono foto intrauterine. Sono tutte foto di feti morti. Sono opere d’arte, costruite minuziosamente, che hanno cambiato il nostro modo di vedere qualcosa che fino a quel momento era solo mistero e immaginazione, fatte a partire da una totale finzione.

domenica 25 agosto 2019

Un bisogno primario

foto di Lukas Piatek


Ma se lo tengo sempre in braccio...poi si abitua?
Questo è un classico tarlo della neomamma alle prese con bebè di pochi giorni, arrivato come tutti i bebè senza istruzioni per l'uso.  Tarlo spesso mantenuto ben in salute da nonne, amiche e amici sapientoni, tutti intorno alla mamma a elargire consigli e a far velati rimproveri: lo devi abituare fin da piccolo, se lo tieni sempre in braccio lo vizi, lui è furbetto, e via così.
Partiamo dal fatto che alla nascita noi abbiamo già delle abitudini, perchè per nove mesi siamo stati trasportati, cullati, massaggiati e soddisfatti in tutti i nostri bisogni. Nasciamo insomma con una lunga storia alle nostre spalle, e con un cervello funzionante che ricorda quell'esperienza.
Dunque no, il neonato non si abitua ad essere tenuto in braccio, perchè è già abituato.
Certo, dopo la nascita dobbiamo imparare ad adattarci a un mondo completamente nuovo, fatto di aria che entra nei polmoni, grandi spazi, luce forte, temperatura instabile, scoperta della forza di gravità, stimolo della fame, pancia da riempire, autonomia da conquistare.  E impariamo molto in fretta, perchè tutto si può dire di noi umani, tranne che non siamo intelligenti e adattabili. Però insomma, dateci il tempo....!

foto di Michelle Bender
E poi ricordiamoci che siamo pur sempre mammiferi. I cuccioli di gorilla, che condividono il 97% dei nostri geni, restano a lungo appiccicati al corpo della mamma. Il riflesso di prensione palmare dei nostri neonati è un ricordo di quando, ancora ominidi, ci aggrappavamo con forza alla pelliccia della mamma, che altrimenti ci perdeva nella foresta.
La nostra fisiologia è ancora quella delle caverne, ma l'aver perso i peli non è l'unica complicazione originata dall’essere diventati Homo Sapiens.
A un certo punto della nostra storia evolutiva ci siamo messi in posizione eretta. Questo ha cambiato la nostra struttura scheletrica, progressivamente si è ridotto il bacino e si è ristretto il canale osseo del parto. In breve siamo anche diventati sempre più capiscioni, e ci è raddoppiato il cervello.
In pratica teste di cuccioli sempre più grosse dovevano passare attraverso canali di parto sempre più stretti.

Come risolvere il problema? Ecco la soluzione che abbiamo escogitato: nascere prima che lo sviluppo sia completato. Nasciamo insomma prematuramente, con il cranio che ancora si deve consolidare, senza denti, e incapaci di muoverci autonomamente. Più vulnerabili e incapaci dei piccoli gorillini.
Per questo abbiamo bisogno di completare il nostro sviluppo il più possibile a contatto con quel corpo adulto che garantisce la nostra sopravvivenza e il soddisfacimento dei nostri bisogni.  Abbiamo insomma gli stessi bisogni dei cuccioli di gorilla, ma di più.
E quali sono questi bisogni primari?
"La funzione primaria dell'accudimento come variabile affettiva è quella di garantire contatti corporei frequenti e intimi dell'infante con la madre. Certamente, l'uomo non vive di solo latte."
Lo scriveva Harry Harlow dopo avere concluso il famoso e crudelissimo esperimento sulle scimmiette, che condusse dal 1957 al 1963. Per chi non lo conoscesse già, alcuni cuccioli di scimmia furono separati dalla madre e vennero chiusi in gabbia con due sostituti materni: uno di peluche,  morbido e riscaldato, che non forniva latte e l’altro freddo, metallico, ma che erogava latte. Tutti i cuccioli mostrarono di preferire il surrogato di peluche, gli si aggrappavano con forza, arrivando in certi casi persino al rifiuto di fare i pochi passi per accedere al nutrimento, fino alla morte per denutrizione. Morti per anoressia emotiva. 

Dunque essere tenuti in braccio è un bisogno primario, non una pericolosa abitudine, e ai bisogni primari bisogna rispondere, ok?